Tuesday, December 28, 2010

T, come Tante cose

T, cavolo quanto mi piace T.
Probabilmente dovrò farmela passare, in qualche modo, ma resta il fatto che T rappresenta ciò che vorrei.
Quando guardo T, la prima e l'unica cosa che penso è "vorrei che fosse la mia ragazza". Proprio per quelle tante cose che è e che ha.
E la domanda che resta lì nell'aria è: "come ho fatto a non accorgermene prima?" Lei è lì da anni, non pochi. Forse lo sospettavo ma c'era il rispetto verso chi all'epoca stava con lei. Rispetto cieco, quello che è giusto avere verso certi amici.
Adesso però no. Adesso basta. Non so chi sia ma c'ero prima io, come le vecchie in coda ai supermercati.
Devo dirle tante cose, poi posso sparire. Però basta starmene da parte.

Sunday, December 19, 2010

Il fastidio ed il resto del mondo

Succede praticamente sempre ai matrimoni, non so perché. Forse ho una parte femminile realmente troppo sviluppata, ma in quelle occasioni mi guardo intorno e mi chiedo cosa mi manca.
Perché ci vuole un sacco di sbattimento per organizzare un matrimonio e un sacco di coraggio per sbattere nel cesso una quantità considerevole di denaro per un anello. Però c'è qualcosa che preme dentro le persone e non è di certo la fede. E' il desiderio di omologazione con un determinato status. Non è una gara, per il primo dei tuoi amici che lo fa, ma lo diventa poi. Tu non credi nella valenza del rito, ma non conta.
Contrariamente ad una malattia, quando tutte le persone attorno a te cominciano ad esserne affette e tu resti immune non ti senti sollevato, ma cominci a chiederti cosa non vada.
Sarà la voglia di farti i cazzi tuoi? Niente ingombri per la tua masturbazione intellettuale (e non)?
Sarà la paura di stare veramente di merda ancora una volta? Non ho voglia di rinascere ancora, mi va abbastanza bene chi sono adesso. Sarai tu ad essere effettivamente diverso? Balle, sei uguale a tutti gli altri che parlano male del matrimonio solo perché lo legano immediatamente alla chiesa.
Il matrimonio ha una valenza profonda, di cui devi rispondere a te stesso, prima che al partner o dio. Quasi quasi ne vuoi uno. Ma non è quella la tristezza che ti pervade. Anzi, non è tristezza quella che ti fa uscire a -4 in giacca per respirare aria fresca. E' l'urgenza di allontanarsi da tutto quello che ti circonda e in qualche modo sembra non appartenerti. E' il fastidio di non trovare il coraggio per essere in pace con te stesso. Puoi raccontarti quanto vuoi che in fondo aspetti "the big one" come un surfer romantico, ma probabilmente ti stai raccontando un'immensa pila di stronzate e hai solo paura di fallire.
Il fastidio è quello, amaro, di non riuscire a farti andare bene quello che effettivamente c'è al mondo. Quella donna sposata con un figlio non ti sta bene così, dovrebbe essere con te, perché la trovi così simile a ciò che vorresti. Ma non ti infastidisce il marito, perché è un uomo splendido.
Si, l'origine di tutte le tue turbe è il mondo, ma sei tu a creare malessere con ciò che ti dà. Insomma, coi ceci ci puoi fare la zuppa o inginocchiartici sopra con grande sofferenza.
Il segreto, in conclusione, è piantarla di fare lo stronzo frignone. Però domani, oggi sono troppo triste.

Saturday, December 11, 2010

What I want

I want a quiet life after all.
I want smiles, laughs, I want my actions to be myself with as few compromises as possible.
I want a daughter named Penelope.
I want to travel far and wide.
I want comprehension, getting along with my partner, I want cuddles and warmth.
I want to be me, ‘cause being me might not be THAT cool, but it’s great.
I want to be brave enough to ignore all these fucking assholes.
I want to believe that what I do matters, that my choices are not illusions.
I want to be still proud of myself ten years from now.
I want to be still this open minded ten years from now.
I want to learn at least two more languages.
I want to want something so badly that I can forget everything else for a while.
I want more hair and a better body.
I want to be able to say that I’m working on at least half the things I listed so far.
I want my parents to live better lives.
I want them to know how much I love them.
I still want to go through a bunch of shit, come out of it and feel stronger.

Monday, November 29, 2010

O, ovvero 'grazie per avermi ricordato che'



Non ha importanza come finirà, questo lo abbiamo capito entrambi. Me lo conferma lei, senza sapere che sono della stessa idea, per cui taccio. Meglio coglione che ruffiano. Si insospettisce sempre quando le do ragione.
"Puoi smettere di annullarti?" Che razza di uomini tristi deve aver incontrato sino ad ora. 
Per il resto ha ragione su quasi tutto. Certo, manca un po' di convinzione, ma non ha molti motivi per sostenere il contrario. In realtà è tutto perfetto. Un disastro non avrebbe conseguenze. 
Ci sono delle cose che ti piacciono profondamente di lei, altre ti turbano e speri non siano vere. Però la ringrazi, segretamente, per molte ragioni.
Ti ha ricordato che puoi confrontarti con persone decenti.
Che non devi scendere a compromessi faticosi per stare bene, devi stare bene per scendere ad eventuali compromessi. 
Che non sei poi così male. 
Che non scrivi poi così male. 
Che hai due palle ed una vita. 
Che sei una via di mezzo tra due estremi. 
Alcune le dice, altre sono frutto di riflessioni tue a-partire-da. Adoro questo suo modo di rendere le cose molto più facili. Ah, si, grazie per avermi ricordato che le relazioni umane (non necessariamente uomo-donna) possono essere relativamente più facili. Nel senso che tu un po' stronza lo sei, ma per lo meno mi dai del cretino senza malizia. Un insulto vero. Comincia e finisce lì. Chiaro, non credi che sia un genio, ma ti basi sugli elementi che hai e sono pochi. 
Ovviamente sono stanco e un po' confuso. La notte porta sonno, altro che consiglio. Ma un grazie era dovuto: a te, al fatto che siano successe delle cose e a tutte le cose che mi hanno portato qui, dove, tutto sommato, sto bene. Perché non ha importanza come finirà, ho avuto la possibilità di dire delle cose a qualcuno che le ha prese per quello che sono. 
Ora che sei reale, scopro che sei vera.

Saturday, November 20, 2010

L'uomo medio e la fame chimica

Hai provato, davvero, con tutte le tue forze.
Ti sei accorto che il razzismo e il classismo hanno molti diramazioni, di cui molte spesso ignorate. Non è più solo il tizio che vende le rose ad esserne vittima, ma anche quello che canta Vasco al karaoke. L'italiano medio, quello che chiama Ligabue "il Liga" e si preoccupa di chi viene convocato in nazionale. Quello che legge la gazzetta interessato e probabilmente anche quello che riesce a riempire tutte quelle pagine rosa di non-ho-mai-capito-cosa. No, davvero, cosa ci può essere da dire sul calcio 7 giorni su 7? Può essere abbastanza da riempire 30 pagine? Ma questo è un altro discorso.
L'uomo medio. Quell'essere che non possiamo definire senza rischiare di inserire in parte anche noi stessi all'interno dell'ammasso, che però in fondo sappiamo benissimo riconoscere. E posso dire senza problemi di non farne parte. Posso essere definito in tanti modi, da sfigato a cazzone a nerd a indeciso, ma non sono decisamente medio. Per questo ho deciso di dare all'uomo medio una possibilità. Senza mai dire no ad una proposta (tranne la discoteca, ci sono dei limiti che la mia curiosità sociologica non riesce a superare) e partecipando con un certo entusiasmo a tutto. Ho pensato che potesse non essere così male, che in fondo ci sono tante persone che vivono così e che sembrano più serene di tutti gli outsider che in genere frequento. E allora via, a giocare a calcetto, a fare festa e a cantare al karaoke, immerso in riti sociali che non mi appartengono.
C'è qualcosa di buono in tutto questo. C'è del calore umano dato dal gruppo ed una rilassatezza intellettuale di fondo piuttosto confortante. Non devi sforzarti di essere sempre all'altezza. Niente giochi di botta e risposta taglienti. Ti puoi permettere di lasciarti andare. Ci sono anche le persone che ti sorprendono e tirano fuori cose interessanti. Certo, lampi nell'oscurità, ma meglio di niente suppongo.
C'è anche qualcosa di profondamente sconfortante d'altro canto. C'è desolazione alla fine della corsa. E' una giostra di Gardaland (dire Disneyland faceva più "international" ma non sarebbe stato autentico e Gardaland rispecchia meglio la media italiana), bella e colorata durante il tragitto, con gente che urla e si stupisce. Alla fine però ti accorgi che è finta, che c'è solo la coda della tua routine prima di un altro giro in giostra. E finita la droga delle feste e della spensieratezza rimane solo la fame chimica. Hai fame di un dialogo che ti riempia. Fanculo il calore umano, vuoi tornare solo e maledetto come al liceo, con un rifiuto di tutto e tutti che adesso potrebbe persino essere giustificato. Vuoi parlare del libro che stai leggendo, di registi che nessuno dei tuoi compagnoni sembra conoscere, dell'essere vegetariani (con persone che non collegano la cosa all'omosessualità) e del perché gli USA non amano più Obama (gli venisse un crampo al c...).
Ma soprattutto, vuoi smetterla di doverti giustificare perché non canti le canzoni di Vasco. Vi voglio bene perché siete begli esseri umani, ma i vostri Vasco, Liga, la formula 1, il calcio, i Simpson, il moto gp, CSI, il nervosismo in auto, il brasatello della domenica, le telefonate di un'ora con la morosa, le opinioni sommarie, il machismo, i discorsi sui motori mi hanno rotto le palle. 

Tuesday, November 16, 2010

Ode to no one

I don't want to meet you. I'm on the brink of falling desperately in love with you and that would be the push 
I need, or don't. I'm well aware of the fact that we were made for each other a long time ago, for some extremely
obscure and morbid (if not fucked up) reason. But clearly, some mistakes were made. Where you charm should have been,
your divinity lies. You are so far above what I think I can afford right now, that I wonder if I'll ever be able to. Always
one step ahead, like a chess master. Deep down inside, I know there might be a chance that all my life, so far, has been 
deeply influenced by you. You might be the reason why my sentimental life is so fucked up. Because I followed my instincts,
and I was damn right...and I kept doing that, despite the fact that my instincts basically screwed up everything later on. 
My sixth sense is such a cheap fake. I know nothing, except that I love you. I love you in the most natural way, without 
even knowing why. I love you 'cause I can't reach you, and you probably don't want me to. I love you so deeply, that I 
can't see you. If I were ever to find out that I was one of your random "spoiled-princess'-cravings", my life would end.
My beliefs would tumble down like a pile of cards, shattered to tiny little pieces. 
You're my grudge, and the only thing that keeps me alive. You're the only thing who hasn't changed in my life, and the
one thing I don't get tired thinking about. You don't even know I exist most of the time, and I don't think about you, but
there you are, in my subconscious, pulling the strings of my emotions.

Monday, November 15, 2010

What the hell. Part 1.

No desperation can make me pray this time. Desperation is just the will to make things different and that's how it 
should be used. Fuel for our will. How am I supposed to know if this is a losing battle? I'm gonna fight 'till I think it'sworth and then we'll see. I'm both pacifist and war-waging, I'm gonna fight with a smile.

Tuesday, August 24, 2010

Il karma e le sberle

A volte, quando sei testardo e non ti vuoi rendere conto di quanto la realtà ti stia premiando, hai bisogno di qualche sberla e di piantarla di fare i capricci. Tutto e subito, come i bambini. Eppure dovresti saperlo che non funziona esattamente così.
Il fiume scorre e le cose galleggiano, scorrono con esso. Forse arriverà il momento in cui le avrai tutte attorno, ma devi smetterla di nuotare in direzioni che non puoi raggiungere. Controcorrente. Perché le cose passano e tu sei ancora lì, fondamentalmente.
Ti senti un rottame? Una scusa in più per lasciarti andare lungo la tua strada. Forse il momento in cui avrai tutto ciò che ti rende sereno non arriverà mai. Forse perderai alcune cose per strada, di sicuro alcune persone, ma non devi perdere di vista il modo in cui l'universo, in fondo, ti sistema. Niente di scontato, giusto?
La vita non è una guerra, non è necessario uccidere per sopravvivere. Ma è una giungla psicologica, e bisogna essere sempre consci di quello che ci circonda, perdersi è molto facile. Le sberle emotive sono il modo che l'universo ha per dire: Sveglia. Guarda da un'altra parte. Vergogna. Come ti permetti? Qualunque di queste cose, ma non è niente di personale. Solo, basta piagnucolare. Non ti piace la minestra? Cucinati una pasta.

Friday, August 20, 2010

Geocaching e le colonne d'Ercole

Da http://www.geocashing.com : "Geocaching (pronounced geo-cashing) is a worldwide game of hiding and seeking treasure."
Ed è esattamente così che sono riuscito a resuscitare una giornata che sembrava nata morta. E' un gioco positivo, che allena la mente e il corpo, mentre giri alla ricerca di quella che può essere una scatola o una minuscola provetta con dentro un foglio da firmare. E' chiaramente un gioco fine a se stesso, ma al contempo molto prezioso. E' una condivisione di esperienze con decine (probabilmente in certi posti anche centinaia) di persone, è una scoperta che viene ripetuta, ammirata e rinchiusa nuovamente prima di poter sparire, ma al di sopra di tutto è una cosa che porti con te ovunque tu vada. Non è una chitarra, che mai verrà con te in viaggio a New York. Non è il portatile, che lascerai a casa nel tuo viaggio in Vietnam. E' una piccola passione innocente che verrà con te ovunque.
Sempre che non ti lasci ossessionare, altrimenti finirai per farti trascinare da essa ovunque. Paradossalmente però, le colonne d'ercole non te le fa superare questo nuovo piccolo pallino. No, è tutto il resto. E' la sconfitta annunciata prima della battaglia. La lettera dal fronte con scritto che al posto della trincea costruiranno un nuovo IKEA. Puoi stare a casa, non serve che ti presenti. E' il fatto che nessuno sembra rendersi conto di quanto tu abbia bisogno di una guerra. E' il fatto che qualcuno, alla fine di tutto, della morte dell'ennesimo germoglio, la resurrezione, il sonno e la rabbia, la disapprovazione e l'entusiasmo, la depressione e la riflessione, si permette di rispondere ad un messaggio dopo un giorno intero lamentandosi di una giornata piena. No, la tua giornata non è stata piena, non abbastanza da non avere 30 secondi.
E' il refolo di vento che spinge la nave oltre le colonne d'ercole, quel territorio inesplorato in cui perdi il contegno ed il rispetto per gli esseri viventi che non sanno nemmeno cosa li circonda. Tu sei andato così oltre. Non c'è ritorno. Non puoi parlare con nessuno, sei un mostro ai loro occhi. (Grazie J, sai benissimo da dove ho preso queste parole.)
Così, in mezzo ad un oceano che ti è ancora nuovo, decidi di maledire tutti. Tutti quelli che non vogliono sapere che cosa c'è dietro quelle colonne. Tutti coloro che non hanno il tempo di condividere il gusto dello scambio e della ricerca. Che marciscano senza entusiasmo, così come fingono di vivere. Porterò qualche dono sulle loro tombe al mio ritorno.

Monday, August 16, 2010

Dovevi essere tu

Ho sempre trovato curioso il modo in cui non si riesca ad attribuire un odore ad un oggetto preciso, ma quello stesso profumo, all'istante, ci ricordi precisi momenti della vita. Vengono e vanno, sfuggono come immagini dal finestrino di un treno, si imprimono vivide su una memoria fatta di sabbia su un bagnasciuga. Ci ripassi sopra il dito più volte, ma il mare alla fine se le porta via.
Pini e terra bagnata dopo la pioggia? No, piuttosto quella volta in cui hai baciato E in montagna, vicino al piccolo cimitero, con una paura mista di adolescenza e paranormale. E questo dolciastro? Senza dubbio le gomme da cancellare profumate che collezionavi quando eri piccolo. E allora cosa ci fa in mezzo alla strada a mezzanotte di ferragosto? Se è uno scherzo, lo trovo di cattivo gusto.
Le sensazioni, al contrario, non hanno un posto esatto nella memoria, ma sai esattamente a cosa attribuirle. Indecisione, paranoia, voglia di far bene o brutto presentimento. Quando si mischiano però tutto diventa più difficile. I confini si fanno sottili. Quando è stata l'ultima volta che mi sono sentito così? Quella volta con A sulla scalinata della chiesa? O con E fuori dalla cantina? Non è così semplice. Desideri ardentemente una mazzetta pantone psico-sensoriale da confrontare con te stesso in quel momento per capire cosa succede. E' l'equivalente sentimentale di entrare in una profumeria. Overload e loop. Troppe cose, tutto allo stesso momento, che si ripetono in circolo e non riesci a trovarne l'inizio, come un rotolo di scotch. Gratti con le unghie ma non ne vieni fuori.
Dovevi essere tu a farlo. Beh, congratulazioni. Naturalmente non lo sapevi e con molta probabilità non avevi nemmeno intenzione di farlo, ma lo hai fatto e forse ci sarà un seguito a tutto questo. Sei la persona che miracolosamente riesce a svitare il tappo del barattolo di marmellata che nessuno riusciva ad aprire. Forse non quella più forte e decisamente non quella più fortunata. Con ogni probabilità il vaso nemmeno volevi aprirlo, te l'hanno chiesto come favore, passavi di lì distrattamente. Però dovevi essere tu.
Non esistono universi paralleli, in cui qualcuno è riuscito a svitarlo prima e Hitler è morto giovane. Esiste solo questo, in cui il fatto stesso che una cosa sia successa dimostra che era la sola cosa possibile per quelle condizioni. Tu eri la sola possibile nelle mie condizioni.
Click.

Friday, July 16, 2010

Il nome (dimenticato) delle cose

Doveva essere il titolo, pensato stamattina, del nuovo intervento. In fondo sono due settimane che non scrivo nulla. Ma non dipende dal fatto che non abbia pensato. Anzi, probabilmente ho pensato di più, ma senza risultati. Un po' come correre in salita senza essere allenati. Il risultato è acido lattico cerebrale, quello che senza pudore presento qui, sotto forma di parole fiacche che pendono dalla gogna.
Mi sfugge il nome delle cose, lo stesso nome che stamattina mi sembrava non solo familiare, ma persino mio. Non riesco a decrivere quello che mi capita. Ho rinunciato a capirlo molto tempo fa, ma non riuscire a parlarne mi turba.



http://www.youtube.com/watch?v=YUTyEEiulQk

Wednesday, June 30, 2010

Le piccole cose...alla fine svaniscono.

Si, mi ero ripromesso, quel giorno, dopo un lungo giro in bici, di ricordare e riportare tutte le cose che avevo visto e sentito. Quelle cose che Amélie Nothomb aveva già sdoganato nel proprio film ma che, per quanto mi riguarda, continuano ad essere snobbate.
Ci vuole una certa pace interiore per coglierle.
Non una pace contingente, quella non è necessaria. Anzi, è probabilmente l'energia propulsiva che mette in moto il meccanismo della fuga nelle piccole cose. Insomma, se non hai soldi e possiedi dei pensieri turbolenti, ci sono buone probabilità che tu ti accorga di queste temporanee meraviglie del caso.
Ci vuole una pace interiore nel senso ampio del termine. Un assoluto senso di appartenenza a questo mondo privo del timore di perdere qualcosa (compresi se stessi). Allora vedi e noti molte più cose, perché non hai più fretta. Anzi, più lentamente passa il tempo, più ti sembra di trarne guadagno. Balle, ma solo in parte. La verità è che non puoi tenerle tutte nella tua testa. Rainman si. Il tuo amico genialoide del liceo forse si. Ma tu no, tu sei umano e dimentichi. Cos'era quel profumo che ti era tanto piaciuto uscendo dal parco? Svanito.
Allora si, allora quel momento è definitivamente perso. E' qui che scatta il dilemma, una sottile membrana si rompe e una serie più o meno confusa di pensieri frana precipitosamente, tanto che ti vien quasi voglia di parlarne. Anche da solo.
Avrei dovuto scriverlo appena arrivato a casa.
Troppo tardi comunque, se vuoi essere un purista. Mancano i dettagli. Cos'è un particolare senza i dettagli?
Mi sarei dovuto fermare lì e scriverlo da qualche parte.
Ma è come filmare un concerto. Lo guardi attraverso l'obiettivo ed è come vederlo su uno schermo. Perdi l'impatto, perdi il momento, ti manca la sensazione diretta.
Allora imparo a scrivere senza guardare.
Non essere sciocco. Non essere volutamente ottuso. Stai parlando con te stesso, cosa ti devi dimostrare? Sai già tutto. Buffone. Devi imparare a lasciar andare anche le piccole cose. Devi inserire la loro potenziale scomparsa nello schema più grande che già hai accettato. Non puoi essere tutto. Non puoi essere un barbone vestito bene. Non ha senso. Accetta i barboni vestiti bene, se mai ne incontrerai uno, ma apprezzalo per quello che è. Un momento bizzarro, unico, a suo modo affascinante e, come tutto, evanescente.
Certo che, giusto per sentirti un po' umano, la prossima volta potresti, effettivamente, scrivere un po' prima.

Friday, June 18, 2010

Tutto nella mia testa

Si, alla fine, nonostante la mia convinzione di avere un fortissimo e sviluppatissimo sesto senso, ai limiti del paranormale, mi sono sbagliato. Questa però non vuole essere una pubblica ammenda. Solo una necessità di coerenza. Non potevo sapere. Io l'avevo percepita e forse anche un po' ricostruita esattamente come l'ho descritta. Ma non era un silenzio carico di tensione e/o di dannazione. D'accordo, lasciamole il beneficio del dubbio, ma con il forte sospetto (dopo averla sentita parlare al telefono oggi), che il silenzio fosse fatto di se stesso. Ovvero di nulla.
Se avessi potuto evitare questa delusione penso che, vigliaccamente, avrei scelto di farlo. Ma volendo essere coerente, è stato giusto così. Le avevo dedicato una scultura che la ritraeva in modo generoso ma poco fedele ed ha ritenuto che fosse il caso di farmelo sapere. Con un pugno in faccia, ma non sta a me giudicare le maniere altrui.
E' possibile che mi sbagli ancora e che il suo forte dialetto e le cose frivole di cui ha parlato siano un caso. E' possibile che in realtà sia esattamente ciò che avevo immaginato. Potrebbe essere, ancora una volta, che tutto quello che vedo si stia svolgendo soltanto nella mia testa.

Uno scrittore che ammiro parlava di vari tipi di silenzio, che riescono a coesistere allo stesso tempo negli stessi spazi. E quello dei nostri brevi ed insignificanti incontri pendolari ha una sua propria dimensione. Non importa come parla. Il nostro rapporto è basato sull'assenza di comunicazione, perciò, in fondo in fondo, il silenzio riassume tutto ciò che non siamo in grado di dirci. Come scriveva Kaufman in Adaptation ..."quell'amore era mio, mi apparteneva e nessuno aveva il diritto di portarmelo via. Nemmeno lei."
E questo silenzio è mio.
 

Wednesday, June 16, 2010

Lost in translation and the third wheel

Perché dare un titolo inglese ad un intervento in italiano? Per due motivi.
Primo, perché tradotti questi modi di dire rendono la metà. Al di là del fatto che il primo sia anche il titolo di un film. Penso che renda quell'idea di disorientamento che si prova nelle incomprensioni, spesso intraducibili non solo linguisticamente, ma culturalmente ed emotivamente.
Secondo, per dare un minimo la stessa sensazione anche a chi legge. O almeno credo che parte di me abbia un'intenzione simile. Insomma, alla fine ciò di cui si vorrebbe parlare è la duplicità degli intenti del singolo e la duplicità delle interpretazioni, che finisce per trasformarsi magicamente nel numero tre. Per cui va bene così.
Perché non sembra, in un mondo in cui tutti fanno finta di saper parlare inglese, che ci possano essere ancora incomprensioni così pesanti. C'è Google che traduce (male), ci sono dizionari online dove controllare le parole, ci sono un sacco di amici virtu(re)ali da cui farsi eventualmente tradurre i pensieri. Tradurre i pensieri. Il grande dilemma dei traduttori. Come dev'essere una traduzione? Riproduzione stilistica fedele o interpretazione di espressione? E come si fa a tradurre un "feeling"?
Precisamente. Come diavolo si fa? Le parole sono delle maledettissime baldracche. Donne di malaffare, tutte loro. Ad ogni nuovo cliente si vendono nel modo in cui più gli aggrada. E tu che ti fidavi di loro. Avevano un compito semplice semplice.
Ma c'è un territorio, uno spazio metafisico, un vuoto cosmico in cui sono costrette a passare. Qui vengono compresse, adattate alla nuova lingua e poi alla nuova testa in cui andranno a stare. Potenzialmente quindi il disastro è sempre in agguato. E ovviamente questa volta è successo. Quello che voleva essere un complimento (per quanto old school e un po' piacione) ha finito per diventare una sorta di disperata dichiarazione di passione insensata degna del peggior coglione irresponsabile ed affamato di amore. Insomma, una minaccia.
E alla fine non ha davvero importanza che cosa volevi dire e con quale spirito l'hai detto. Lei non è Dio, non legge il cuore degli uomini per vedere se sono puri. Lei è francese e ti vede come un curioso amico un po' attempato. Usa la parola "friend". Tre volte. Per nulla a caso. Risuona nella tua testa, ripetuta sempre più lenta. Non è più un suono, è una parola che diventa fisica, una linea di demarcazione. Inutili altre tue parole, hai troppa esperienza per pensare che servano effettivamente a qualcosa. Come ho scritto in precedenza altrove "Giustificarsi non serve a niente. Nessuno crede mai veramente alle parole." Peccato, poteva essere interessante. Non c'è tempo per prendere la strada più lunga e aggirare quella linea.
Almeno l'altra comunicazione, tra J e C, è andata a buon fine. Ah già, la lingua in comune. Un passaggio in meno, forse è quello che aiuta. No, 8 anni in meno, sono quelli che aiutano. Però all'improvviso la dualità del tutto scompare, si rompe e tu resti isolato. The third wheel. Sei una terza parte senza interlocutore. Sei l'unico spettatore di una commedia che non ti fa ridere. Puoi parlare con te stesso, ed è quello che finisci per fare.
Capita, quando due diventa tre.
 

Tuesday, June 15, 2010

Come se non le interessasse

Così, esattamente come la mattina stessa era salita sull'autobus, era scesa e risalita, dopo quelle che sembravano un milione di ore. Come se il tempo non fosse passato. Come se le cose che aveva fatto quel giorno non avessero avuto senso e così quelle del giorno prima. Non si guarda nemmeno intorno per vedere chi c'è. Si siede lì... saranno 50 cm, ma è come se si fosse seduta dalla parte opposta. Fa le sue cose, ogni tanto la osservo con la coda dell'occhio.
Invisibile.
Io e lei, sui nostri pianeti. Solo che io, curioso come sono, la osservo allibito. Lei fluttua, roteando su se stessa. E fissa un punto indistinto. Chissà cosa vede. Si volta, ad un tratto, ed i nostri sguardi si incontrano. Poi torna al suo punto indistinto. Come se la realtà non ci fosse. Come se non le interessasse.

Sunday, June 13, 2010

Harley, Davidson e il nostro posto nel mondo

Diciamocelo. Pur con tutta l'apertura mentale, la democrazia e la bontà del mondo, non possiamo negare che l'umanità sia fatta a scompartimenti. Lungi dall'essere a tenuta stagna, comunque segnano dei confini, che a volte non sono nemmeno poi così invisibili. Te ne accorgi vagando, completamente fuori contesto, ad un raduno di motociclisti filo-nazisti. Se sapessero che sei sinistroide, vegetariano e che l'unica cosa che sai di moto è che accelerano ruotando la manopola destra, probabilmente verresti impalato come un moderno Gesù sotto il tendone, in modo da svettare come grottesco monito ad altri futuri sventurati.
Ma la realtà non è così pericolosa e tragica. La verità è che sono troppo immensamente orgogliosi del proprio abbigliamento e della quantità di machismo (fine a se stesso) che aleggia nell'aria per accorgersi di te. Il raduno è aperto a tutti, alla fine. Ma è come entrare in un museo vivente, o meglio, è come essere dentro un documentario. Le creature che ti circondano continuano a vivere la propria vita, perpetrare i propri riti di socializzazione e/o affermazione all'interno del branco.
Bandiere americane, cappelli da cowboy, stivali, gilet con i lacci di pelle, musica rock, moto che fanno a gara per scomodità e gusto discutibile, e soprattutto il burnout. Mai vista una cosa così inutile. Vorresti capire questo rito, lo vorresti davvero, ma non puoi fare altro che restare imbambolato a fissare quel tizio che, con la ruota anteriore impuntata sul tronco di un albero, accelera fino a far fumare la ruota posteriore, che slitta su un'asse di legno ormai consumata. Dopo aver alzato un banco di fumo degno dell'11 Settembre, soddisfatto di aver gettato nel cesso qualche centinaio di euro di gomme, si dirige verso l'angolo dove pianterà la propria tenda per i giorni successivi. Ha marcato il territorio? Oppure aveva puntato una qualche manza stivalata ed era l'inizio della sua danza di accoppiamento? Non ti è dato saperlo. Quello non è il tuo posto nel mondo. Hai quasi la tentazione di tornare a casa e cercare "burnout" su wikipedia, ma sai che non troverai una spiegazione psico-sociologica del fenomeno. Probabimente solo ulteriori dettagli tecnici che non capiresti.
E' passata un'ora e sei ancora vivo. Cominci a provare una sorta di rispetto per questi personaggi dall'aspetto decisamente barbaro che salutano gli altri motociclisti quando li incrociano per strada e che aprono i propri raduni agli altri esseri viventi. Alla fine la maggior parte di loro, a parte un paio di cloni dei ZZ-Top, è probabilmente solo vestita a festa. Lunedì si metteranno giacca e cravatta e andranno a lavorare in banca o in azienda. Uno di loro magari è quello dell'assistenza telefonica con cui hai parlato qualche settimana prima, perché no, forse anche quello che sembra appena sbarcato da un drakkar. Tutta apparenza, secondo me dorme ancora con il suo orsacchiotto.
Arthur Davidson, il socio di William S. Harley, era un patriota che smise di produrre moto durante la Grande Guerra per supportare la macchina bellica statunitense. Molto rock'n'roll.
Prima di fondare la compagnia, però, si era fatto fregare i soldi dalla donna delle pulizie ed aveva chiesto soldi in prestito ad uno zio apicoltore, soprannominato poi "Honey Uncle". Ecco, decisamente meno rock'n'roll. Come sospettavi, tutta apparenza.
Però, anche nel loro apparire, ti è utile confrontarti con queste creature perché, per esclusione, puoi depennare questo dalla lista dei tuoi "posti nel mondo".

Wednesday, June 9, 2010

N, ovvero come impilare i mattoncini

N ha l'atteggiamento giusto per tirarmi fuori le cose di me che non riesco a digerire. Niente tisana, mi caccia due dita in gola e le vomito giù tutte, quasi senza sofferenza.
Oggi ho capito cos'è quell'insofferenza strisciante che mi torce le budella da un po' di tempo. Logistica. Un procrastinatore nato non ha voglia di incastrare i lego per farli stare dentro uno scatolone, compra uno scatolone più largo e ce li butta dentro. Li metterò a posto quando mi servono. Ma il problema non sono i lego. Sei cresciuto e hai capito che comunque non ci stanno tutti. Scegli, strappandoti piccoli pezzi di anima e di memoria, e fai una selezione più accurata. Ma non hai propria voglia di incastrarli, poi non puoi usare quello che vuoi quando più lo desideri. Benvenuto nella vita reale, coglione.
No, ma c'è un motivo se non hai voglia, ci deve essere. Lo scopo. Perché sfidare le leggi della fisica senza uno scopo? Allora intravedi la possibilità di un incastro difficile, la solita sfida da bambino, con la sola differenza che non ci sono più mamme di cui cercare l'approvazione. Sei tu tua madre e tuo padre. Nel tuo microcosmo sei una cazzo di trinità, ma devi dare una ragione alla tua parte mortale per venerarti.
D'accordo, ora hai più di uno scopo, tutto da mettere assieme, qualcosa non andrà in porto ma va bene così, rispetto ad altri sei comunque un passo avanti. No, no, ancora quel fastidio.
N apre bocca. Ecco lì la spiegazione. Era così semplice, dovresti conoscerti ormai. Hai sempre odiato quando l'oroscopo ti diceva che la carriera andava bene e non parlava del resto. Avevi la strana sensazione che stesse volutamente omettendo qualcosa, come il dottore che evita il nome della patologia davanti ad un malato terminale. Mancavano le donne. Quegli esseri che si agghindano con collane ed orecchini fatti delle anime che strappano ai mortali. Dannazione a loro. Una di loro ha, effettivamente, un nome che rimanda alla divinità.
Potresti anche girare in mutande a sterminare minotauri, perché in fondo ti senti un po' Teseo. Ma ti rendi conto che sei fermo in coda ad un ufficio, che la logistica ti sta uccidendo, e che la gente ti guarda strano perché, sotto sotto, percepisce che vorresti essere in mutande e brandire una daga scintillante.
Vabbeh, è solo questione di tempo.
Però quando divento grande la daga me la compro, ecco. E ne regalo una anche a N.

Tuesday, June 8, 2010

Brucia

Cosa lascerà dentro di te tutto questo?
Un solco di anime calpestate, fiori impastati nel suolo dei ricordi.
Un dolce aroma di sangue che assaggi piano, affrontando i denti con la lingua.
Il dolore è qui e ora, e tu non lo senti.
Vago, lanci un grido dal futuro aggrappandoti con le unghie al passato.
Ti perdi in un riflesso, contando i minuti che mancano.
Ti trapassano, come fossi muschio, si perdono nel suo umore, leggeri quasi fossero inutili.
Terra bruciata sotto il sole della memoria, invidia combustibile nel serbatoio infinito delle passioni.
Brucia per poi rinascere.
Brucia e sparisci come cenere al vento.
Brucia per non sentire più niente.
Niente di tutto questo.

Sunday, June 6, 2010

II

Quasi un anno di distanza. Un bagaglio di esperienze degno di una vita discretamente travagliata, ma senza dramma. Semplicemente quel minimo di spaesamento che deriva dall'inaspettatezza. (Parole lunghissime della cui esistenza non sono nemmeno troppo certo). Eppure è servito tutto a raggiungere decisioni importanti. Per quanto, in fondo, la paura rimanga viva.
Guardo fuori dalla finestra e mi chiedo se il paesaggio sia realmente cambiato. Le prospettive lo sono: posso già intravedere qualche diafana figura muoversi tra gli alberi. Ma gli alberi sono sempre gli stessi. Dunque per ora è tutto solo ed esclusivamente nella mia testa e nelle bocche delle persone che mi includono nel loro orizzonte.
Dio, Buddha, Baal (o chi per loro) soli sanno se gli anni di patetiche delusioni ti insegnano a tenere a freno progetti ed entusiasmo, per quanto sia sempre più affascinante immaginarsi come cicala che come formica. Testa bassa e lavora, probabilmente il karma ci salverà dalla depressione.
Poi capita che ti salva davvero, sotto forma di tre splendide ragazze. Rappresentano la perfezione, le streghe di Macbeth o semplicemente la terna arbitrale in vista dei mondiali di calcio? Non ti è dato saperlo. Con la saggezza di un veterano ti getti nel fiume pensando che legarti una corda in vita basterà, ma finisci per comportarti come un bambino che trova un negozio di dolci incustodito. Solo che tu sei consapevole del mal di stomaco che ti aspetta. Pace. Andava fatto, fa parte del mutamento. Se non puoi cambiare il paesaggio, devi trovare il modo di cambiare il tuo modo di vederlo. E' un processo che si può controllare fino a un certo punto. In alcune cose ti ci infili, altre ti capitano e basta.
Una cosa però, alla fine, puoi decidere di farla. Ti concedi di crederci. Tanto staresti male comunque.