Wednesday, June 30, 2010

Le piccole cose...alla fine svaniscono.

Si, mi ero ripromesso, quel giorno, dopo un lungo giro in bici, di ricordare e riportare tutte le cose che avevo visto e sentito. Quelle cose che Amélie Nothomb aveva già sdoganato nel proprio film ma che, per quanto mi riguarda, continuano ad essere snobbate.
Ci vuole una certa pace interiore per coglierle.
Non una pace contingente, quella non è necessaria. Anzi, è probabilmente l'energia propulsiva che mette in moto il meccanismo della fuga nelle piccole cose. Insomma, se non hai soldi e possiedi dei pensieri turbolenti, ci sono buone probabilità che tu ti accorga di queste temporanee meraviglie del caso.
Ci vuole una pace interiore nel senso ampio del termine. Un assoluto senso di appartenenza a questo mondo privo del timore di perdere qualcosa (compresi se stessi). Allora vedi e noti molte più cose, perché non hai più fretta. Anzi, più lentamente passa il tempo, più ti sembra di trarne guadagno. Balle, ma solo in parte. La verità è che non puoi tenerle tutte nella tua testa. Rainman si. Il tuo amico genialoide del liceo forse si. Ma tu no, tu sei umano e dimentichi. Cos'era quel profumo che ti era tanto piaciuto uscendo dal parco? Svanito.
Allora si, allora quel momento è definitivamente perso. E' qui che scatta il dilemma, una sottile membrana si rompe e una serie più o meno confusa di pensieri frana precipitosamente, tanto che ti vien quasi voglia di parlarne. Anche da solo.
Avrei dovuto scriverlo appena arrivato a casa.
Troppo tardi comunque, se vuoi essere un purista. Mancano i dettagli. Cos'è un particolare senza i dettagli?
Mi sarei dovuto fermare lì e scriverlo da qualche parte.
Ma è come filmare un concerto. Lo guardi attraverso l'obiettivo ed è come vederlo su uno schermo. Perdi l'impatto, perdi il momento, ti manca la sensazione diretta.
Allora imparo a scrivere senza guardare.
Non essere sciocco. Non essere volutamente ottuso. Stai parlando con te stesso, cosa ti devi dimostrare? Sai già tutto. Buffone. Devi imparare a lasciar andare anche le piccole cose. Devi inserire la loro potenziale scomparsa nello schema più grande che già hai accettato. Non puoi essere tutto. Non puoi essere un barbone vestito bene. Non ha senso. Accetta i barboni vestiti bene, se mai ne incontrerai uno, ma apprezzalo per quello che è. Un momento bizzarro, unico, a suo modo affascinante e, come tutto, evanescente.
Certo che, giusto per sentirti un po' umano, la prossima volta potresti, effettivamente, scrivere un po' prima.

Friday, June 18, 2010

Tutto nella mia testa

Si, alla fine, nonostante la mia convinzione di avere un fortissimo e sviluppatissimo sesto senso, ai limiti del paranormale, mi sono sbagliato. Questa però non vuole essere una pubblica ammenda. Solo una necessità di coerenza. Non potevo sapere. Io l'avevo percepita e forse anche un po' ricostruita esattamente come l'ho descritta. Ma non era un silenzio carico di tensione e/o di dannazione. D'accordo, lasciamole il beneficio del dubbio, ma con il forte sospetto (dopo averla sentita parlare al telefono oggi), che il silenzio fosse fatto di se stesso. Ovvero di nulla.
Se avessi potuto evitare questa delusione penso che, vigliaccamente, avrei scelto di farlo. Ma volendo essere coerente, è stato giusto così. Le avevo dedicato una scultura che la ritraeva in modo generoso ma poco fedele ed ha ritenuto che fosse il caso di farmelo sapere. Con un pugno in faccia, ma non sta a me giudicare le maniere altrui.
E' possibile che mi sbagli ancora e che il suo forte dialetto e le cose frivole di cui ha parlato siano un caso. E' possibile che in realtà sia esattamente ciò che avevo immaginato. Potrebbe essere, ancora una volta, che tutto quello che vedo si stia svolgendo soltanto nella mia testa.

Uno scrittore che ammiro parlava di vari tipi di silenzio, che riescono a coesistere allo stesso tempo negli stessi spazi. E quello dei nostri brevi ed insignificanti incontri pendolari ha una sua propria dimensione. Non importa come parla. Il nostro rapporto è basato sull'assenza di comunicazione, perciò, in fondo in fondo, il silenzio riassume tutto ciò che non siamo in grado di dirci. Come scriveva Kaufman in Adaptation ..."quell'amore era mio, mi apparteneva e nessuno aveva il diritto di portarmelo via. Nemmeno lei."
E questo silenzio è mio.
 

Wednesday, June 16, 2010

Lost in translation and the third wheel

Perché dare un titolo inglese ad un intervento in italiano? Per due motivi.
Primo, perché tradotti questi modi di dire rendono la metà. Al di là del fatto che il primo sia anche il titolo di un film. Penso che renda quell'idea di disorientamento che si prova nelle incomprensioni, spesso intraducibili non solo linguisticamente, ma culturalmente ed emotivamente.
Secondo, per dare un minimo la stessa sensazione anche a chi legge. O almeno credo che parte di me abbia un'intenzione simile. Insomma, alla fine ciò di cui si vorrebbe parlare è la duplicità degli intenti del singolo e la duplicità delle interpretazioni, che finisce per trasformarsi magicamente nel numero tre. Per cui va bene così.
Perché non sembra, in un mondo in cui tutti fanno finta di saper parlare inglese, che ci possano essere ancora incomprensioni così pesanti. C'è Google che traduce (male), ci sono dizionari online dove controllare le parole, ci sono un sacco di amici virtu(re)ali da cui farsi eventualmente tradurre i pensieri. Tradurre i pensieri. Il grande dilemma dei traduttori. Come dev'essere una traduzione? Riproduzione stilistica fedele o interpretazione di espressione? E come si fa a tradurre un "feeling"?
Precisamente. Come diavolo si fa? Le parole sono delle maledettissime baldracche. Donne di malaffare, tutte loro. Ad ogni nuovo cliente si vendono nel modo in cui più gli aggrada. E tu che ti fidavi di loro. Avevano un compito semplice semplice.
Ma c'è un territorio, uno spazio metafisico, un vuoto cosmico in cui sono costrette a passare. Qui vengono compresse, adattate alla nuova lingua e poi alla nuova testa in cui andranno a stare. Potenzialmente quindi il disastro è sempre in agguato. E ovviamente questa volta è successo. Quello che voleva essere un complimento (per quanto old school e un po' piacione) ha finito per diventare una sorta di disperata dichiarazione di passione insensata degna del peggior coglione irresponsabile ed affamato di amore. Insomma, una minaccia.
E alla fine non ha davvero importanza che cosa volevi dire e con quale spirito l'hai detto. Lei non è Dio, non legge il cuore degli uomini per vedere se sono puri. Lei è francese e ti vede come un curioso amico un po' attempato. Usa la parola "friend". Tre volte. Per nulla a caso. Risuona nella tua testa, ripetuta sempre più lenta. Non è più un suono, è una parola che diventa fisica, una linea di demarcazione. Inutili altre tue parole, hai troppa esperienza per pensare che servano effettivamente a qualcosa. Come ho scritto in precedenza altrove "Giustificarsi non serve a niente. Nessuno crede mai veramente alle parole." Peccato, poteva essere interessante. Non c'è tempo per prendere la strada più lunga e aggirare quella linea.
Almeno l'altra comunicazione, tra J e C, è andata a buon fine. Ah già, la lingua in comune. Un passaggio in meno, forse è quello che aiuta. No, 8 anni in meno, sono quelli che aiutano. Però all'improvviso la dualità del tutto scompare, si rompe e tu resti isolato. The third wheel. Sei una terza parte senza interlocutore. Sei l'unico spettatore di una commedia che non ti fa ridere. Puoi parlare con te stesso, ed è quello che finisci per fare.
Capita, quando due diventa tre.
 

Tuesday, June 15, 2010

Come se non le interessasse

Così, esattamente come la mattina stessa era salita sull'autobus, era scesa e risalita, dopo quelle che sembravano un milione di ore. Come se il tempo non fosse passato. Come se le cose che aveva fatto quel giorno non avessero avuto senso e così quelle del giorno prima. Non si guarda nemmeno intorno per vedere chi c'è. Si siede lì... saranno 50 cm, ma è come se si fosse seduta dalla parte opposta. Fa le sue cose, ogni tanto la osservo con la coda dell'occhio.
Invisibile.
Io e lei, sui nostri pianeti. Solo che io, curioso come sono, la osservo allibito. Lei fluttua, roteando su se stessa. E fissa un punto indistinto. Chissà cosa vede. Si volta, ad un tratto, ed i nostri sguardi si incontrano. Poi torna al suo punto indistinto. Come se la realtà non ci fosse. Come se non le interessasse.

Sunday, June 13, 2010

Harley, Davidson e il nostro posto nel mondo

Diciamocelo. Pur con tutta l'apertura mentale, la democrazia e la bontà del mondo, non possiamo negare che l'umanità sia fatta a scompartimenti. Lungi dall'essere a tenuta stagna, comunque segnano dei confini, che a volte non sono nemmeno poi così invisibili. Te ne accorgi vagando, completamente fuori contesto, ad un raduno di motociclisti filo-nazisti. Se sapessero che sei sinistroide, vegetariano e che l'unica cosa che sai di moto è che accelerano ruotando la manopola destra, probabilmente verresti impalato come un moderno Gesù sotto il tendone, in modo da svettare come grottesco monito ad altri futuri sventurati.
Ma la realtà non è così pericolosa e tragica. La verità è che sono troppo immensamente orgogliosi del proprio abbigliamento e della quantità di machismo (fine a se stesso) che aleggia nell'aria per accorgersi di te. Il raduno è aperto a tutti, alla fine. Ma è come entrare in un museo vivente, o meglio, è come essere dentro un documentario. Le creature che ti circondano continuano a vivere la propria vita, perpetrare i propri riti di socializzazione e/o affermazione all'interno del branco.
Bandiere americane, cappelli da cowboy, stivali, gilet con i lacci di pelle, musica rock, moto che fanno a gara per scomodità e gusto discutibile, e soprattutto il burnout. Mai vista una cosa così inutile. Vorresti capire questo rito, lo vorresti davvero, ma non puoi fare altro che restare imbambolato a fissare quel tizio che, con la ruota anteriore impuntata sul tronco di un albero, accelera fino a far fumare la ruota posteriore, che slitta su un'asse di legno ormai consumata. Dopo aver alzato un banco di fumo degno dell'11 Settembre, soddisfatto di aver gettato nel cesso qualche centinaio di euro di gomme, si dirige verso l'angolo dove pianterà la propria tenda per i giorni successivi. Ha marcato il territorio? Oppure aveva puntato una qualche manza stivalata ed era l'inizio della sua danza di accoppiamento? Non ti è dato saperlo. Quello non è il tuo posto nel mondo. Hai quasi la tentazione di tornare a casa e cercare "burnout" su wikipedia, ma sai che non troverai una spiegazione psico-sociologica del fenomeno. Probabimente solo ulteriori dettagli tecnici che non capiresti.
E' passata un'ora e sei ancora vivo. Cominci a provare una sorta di rispetto per questi personaggi dall'aspetto decisamente barbaro che salutano gli altri motociclisti quando li incrociano per strada e che aprono i propri raduni agli altri esseri viventi. Alla fine la maggior parte di loro, a parte un paio di cloni dei ZZ-Top, è probabilmente solo vestita a festa. Lunedì si metteranno giacca e cravatta e andranno a lavorare in banca o in azienda. Uno di loro magari è quello dell'assistenza telefonica con cui hai parlato qualche settimana prima, perché no, forse anche quello che sembra appena sbarcato da un drakkar. Tutta apparenza, secondo me dorme ancora con il suo orsacchiotto.
Arthur Davidson, il socio di William S. Harley, era un patriota che smise di produrre moto durante la Grande Guerra per supportare la macchina bellica statunitense. Molto rock'n'roll.
Prima di fondare la compagnia, però, si era fatto fregare i soldi dalla donna delle pulizie ed aveva chiesto soldi in prestito ad uno zio apicoltore, soprannominato poi "Honey Uncle". Ecco, decisamente meno rock'n'roll. Come sospettavi, tutta apparenza.
Però, anche nel loro apparire, ti è utile confrontarti con queste creature perché, per esclusione, puoi depennare questo dalla lista dei tuoi "posti nel mondo".

Wednesday, June 9, 2010

N, ovvero come impilare i mattoncini

N ha l'atteggiamento giusto per tirarmi fuori le cose di me che non riesco a digerire. Niente tisana, mi caccia due dita in gola e le vomito giù tutte, quasi senza sofferenza.
Oggi ho capito cos'è quell'insofferenza strisciante che mi torce le budella da un po' di tempo. Logistica. Un procrastinatore nato non ha voglia di incastrare i lego per farli stare dentro uno scatolone, compra uno scatolone più largo e ce li butta dentro. Li metterò a posto quando mi servono. Ma il problema non sono i lego. Sei cresciuto e hai capito che comunque non ci stanno tutti. Scegli, strappandoti piccoli pezzi di anima e di memoria, e fai una selezione più accurata. Ma non hai propria voglia di incastrarli, poi non puoi usare quello che vuoi quando più lo desideri. Benvenuto nella vita reale, coglione.
No, ma c'è un motivo se non hai voglia, ci deve essere. Lo scopo. Perché sfidare le leggi della fisica senza uno scopo? Allora intravedi la possibilità di un incastro difficile, la solita sfida da bambino, con la sola differenza che non ci sono più mamme di cui cercare l'approvazione. Sei tu tua madre e tuo padre. Nel tuo microcosmo sei una cazzo di trinità, ma devi dare una ragione alla tua parte mortale per venerarti.
D'accordo, ora hai più di uno scopo, tutto da mettere assieme, qualcosa non andrà in porto ma va bene così, rispetto ad altri sei comunque un passo avanti. No, no, ancora quel fastidio.
N apre bocca. Ecco lì la spiegazione. Era così semplice, dovresti conoscerti ormai. Hai sempre odiato quando l'oroscopo ti diceva che la carriera andava bene e non parlava del resto. Avevi la strana sensazione che stesse volutamente omettendo qualcosa, come il dottore che evita il nome della patologia davanti ad un malato terminale. Mancavano le donne. Quegli esseri che si agghindano con collane ed orecchini fatti delle anime che strappano ai mortali. Dannazione a loro. Una di loro ha, effettivamente, un nome che rimanda alla divinità.
Potresti anche girare in mutande a sterminare minotauri, perché in fondo ti senti un po' Teseo. Ma ti rendi conto che sei fermo in coda ad un ufficio, che la logistica ti sta uccidendo, e che la gente ti guarda strano perché, sotto sotto, percepisce che vorresti essere in mutande e brandire una daga scintillante.
Vabbeh, è solo questione di tempo.
Però quando divento grande la daga me la compro, ecco. E ne regalo una anche a N.

Tuesday, June 8, 2010

Brucia

Cosa lascerà dentro di te tutto questo?
Un solco di anime calpestate, fiori impastati nel suolo dei ricordi.
Un dolce aroma di sangue che assaggi piano, affrontando i denti con la lingua.
Il dolore è qui e ora, e tu non lo senti.
Vago, lanci un grido dal futuro aggrappandoti con le unghie al passato.
Ti perdi in un riflesso, contando i minuti che mancano.
Ti trapassano, come fossi muschio, si perdono nel suo umore, leggeri quasi fossero inutili.
Terra bruciata sotto il sole della memoria, invidia combustibile nel serbatoio infinito delle passioni.
Brucia per poi rinascere.
Brucia e sparisci come cenere al vento.
Brucia per non sentire più niente.
Niente di tutto questo.

Sunday, June 6, 2010

II

Quasi un anno di distanza. Un bagaglio di esperienze degno di una vita discretamente travagliata, ma senza dramma. Semplicemente quel minimo di spaesamento che deriva dall'inaspettatezza. (Parole lunghissime della cui esistenza non sono nemmeno troppo certo). Eppure è servito tutto a raggiungere decisioni importanti. Per quanto, in fondo, la paura rimanga viva.
Guardo fuori dalla finestra e mi chiedo se il paesaggio sia realmente cambiato. Le prospettive lo sono: posso già intravedere qualche diafana figura muoversi tra gli alberi. Ma gli alberi sono sempre gli stessi. Dunque per ora è tutto solo ed esclusivamente nella mia testa e nelle bocche delle persone che mi includono nel loro orizzonte.
Dio, Buddha, Baal (o chi per loro) soli sanno se gli anni di patetiche delusioni ti insegnano a tenere a freno progetti ed entusiasmo, per quanto sia sempre più affascinante immaginarsi come cicala che come formica. Testa bassa e lavora, probabilmente il karma ci salverà dalla depressione.
Poi capita che ti salva davvero, sotto forma di tre splendide ragazze. Rappresentano la perfezione, le streghe di Macbeth o semplicemente la terna arbitrale in vista dei mondiali di calcio? Non ti è dato saperlo. Con la saggezza di un veterano ti getti nel fiume pensando che legarti una corda in vita basterà, ma finisci per comportarti come un bambino che trova un negozio di dolci incustodito. Solo che tu sei consapevole del mal di stomaco che ti aspetta. Pace. Andava fatto, fa parte del mutamento. Se non puoi cambiare il paesaggio, devi trovare il modo di cambiare il tuo modo di vederlo. E' un processo che si può controllare fino a un certo punto. In alcune cose ti ci infili, altre ti capitano e basta.
Una cosa però, alla fine, puoi decidere di farla. Ti concedi di crederci. Tanto staresti male comunque.