Perché dare un titolo inglese ad un intervento in italiano? Per due motivi.
Primo, perché tradotti questi modi di dire rendono la metà. Al di là del fatto che il primo sia anche il titolo di un film. Penso che renda quell'idea di disorientamento che si prova nelle incomprensioni, spesso intraducibili non solo linguisticamente, ma culturalmente ed emotivamente.
Secondo, per dare un minimo la stessa sensazione anche a chi legge. O almeno credo che parte di me abbia un'intenzione simile. Insomma, alla fine ciò di cui si vorrebbe parlare è la duplicità degli intenti del singolo e la duplicità delle interpretazioni, che finisce per trasformarsi magicamente nel numero tre. Per cui va bene così.
Perché non sembra, in un mondo in cui tutti fanno finta di saper parlare inglese, che ci possano essere ancora incomprensioni così pesanti. C'è Google che traduce (male), ci sono dizionari online dove controllare le parole, ci sono un sacco di amici virtu(re)ali da cui farsi eventualmente tradurre i pensieri. Tradurre i pensieri. Il grande dilemma dei traduttori. Come dev'essere una traduzione? Riproduzione stilistica fedele o interpretazione di espressione? E come si fa a tradurre un "feeling"?
Precisamente. Come diavolo si fa? Le parole sono delle maledettissime baldracche. Donne di malaffare, tutte loro. Ad ogni nuovo cliente si vendono nel modo in cui più gli aggrada. E tu che ti fidavi di loro. Avevano un compito semplice semplice.
Ma c'è un territorio, uno spazio metafisico, un vuoto cosmico in cui sono costrette a passare. Qui vengono compresse, adattate alla nuova lingua e poi alla nuova testa in cui andranno a stare. Potenzialmente quindi il disastro è sempre in agguato. E ovviamente questa volta è successo. Quello che voleva essere un complimento (per quanto old school e un po' piacione) ha finito per diventare una sorta di disperata dichiarazione di passione insensata degna del peggior coglione irresponsabile ed affamato di amore. Insomma, una minaccia.
E alla fine non ha davvero importanza che cosa volevi dire e con quale spirito l'hai detto. Lei non è Dio, non legge il cuore degli uomini per vedere se sono puri. Lei è francese e ti vede come un curioso amico un po' attempato. Usa la parola "friend". Tre volte. Per nulla a caso. Risuona nella tua testa, ripetuta sempre più lenta. Non è più un suono, è una parola che diventa fisica, una linea di demarcazione. Inutili altre tue parole, hai troppa esperienza per pensare che servano effettivamente a qualcosa. Come ho scritto in precedenza altrove "Giustificarsi non serve a niente. Nessuno crede mai veramente alle parole." Peccato, poteva essere interessante. Non c'è tempo per prendere la strada più lunga e aggirare quella linea.
Almeno l'altra comunicazione, tra J e C, è andata a buon fine. Ah già, la lingua in comune. Un passaggio in meno, forse è quello che aiuta. No, 8 anni in meno, sono quelli che aiutano. Però all'improvviso la dualità del tutto scompare, si rompe e tu resti isolato. The third wheel. Sei una terza parte senza interlocutore. Sei l'unico spettatore di una commedia che non ti fa ridere. Puoi parlare con te stesso, ed è quello che finisci per fare.
Capita, quando due diventa tre.
No comments:
Post a Comment