Che senso ha, viene da chiedersi, fuggire da un paesaggio?
Il paesaggio muta, ma è una presenza costante, che ci avvolge.
E' quell'elemento di cui non ci accorgiamo fino a quando non ci soffoca.
E' lo sfondo sfuocato di tutte le nostre fotografie. Lo sconosciuto che porta a spasso il cane mentre sorridiamo alla fotocamera. Il cameriere dietro l'orecchio di M in quella foto del liceo. E' Paul Cole.
Come l'asfalto, cambia nei dettagli senza mutare mai.
E così la sensazione di incappare sempre negli stessi errori dopo un po' è inevitabile. Per cui, come molti prima e dopo di te, cerchi di scappare dalla tua ombra. Un progetto vano, per l'appunto, ma un progetto nondimeno.
Non lo condivido, chiaramente. Ma senza presunzione. Semplicemente con la consapevolezza di chi ha voluto tentare di tornare immacolato da una corsa in bici sotto la pioggia.
La fuga è mentale. Continua e centellinata. E' respirare l'aria di un luogo che ancora non si è visitato. E' un esercizio di autocontrollo fondamentale per sopravvivere all'ansia. E' vana, forse, ma non è finta. Dall'inizio alla fine, qualunque essa sia, è tanto vera quanto ogni singolo passo che facciamo, non necessariamente avvicinandoci.
L'importante, inutile dirlo, è continuare a camminare.
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